Turismo Archeologico

La provincia di Trapani fu abitata fin da tempi molto antichi: Elimi, Fenici, Greci e Romani hanno conosciuto questo territorio e hanno deciso di costruire qui le loro città. La posizione della nostra provincia nel Mediterraneo, il clima mite, l’amenità delle pianure e degli altopiani, l’abbondanza di vegetazione hanno reso questo territorio un luogo perfetto per il loro insediamento.
E’ per questo che troverete aree archeologiche e scavi un po’ dovunque.

Abitarono qui popoli di cui non sappiamo quasi nulla ma che hanno lasciato importanti tracce del loro passato. Tra queste, le pitture nella Grotta del Genovese a Levanzo e i Sesi a Pantelleria, solo per citare le più importanti. Ci furono poi gli Elimi che costruirono Segesta ed Erice.
Ci furono i Fenici che fecero della piccola isola di Mothia un’importante scalo commerciale.
E poco dopo arrivarono anche i Romani. Della presenza romana e della loro lotta con i Cartaginesi ci sono importanti testimonianze a Marsala.
E naturalmente non potevano mancare i Greci. Il più bell’esempio del loro passaggio qui è Selinunte, la grande e potente città dove furono innalzati 8 grandi templi con il materiale tratto dalle Cave di Cusa.

L’area in cui sorgeva Segesta è oggi un ampio sito archeologico a più strati. Qui infatti gli scavi hanno progressivamente portato alla luce i resti dell’originario stanziamento elimo, dell’età ellenistico-romana, dell’insediamento musulmano, normanno-svevo e medievale.
Il periodo d’oro è legato agli Elimi, di cui Segesta fu la città più importante. Tuttavia il suo aspetto fu fortemente influenzato dalla cultura e dallo stile dei Greci.
La città sorgeva su due colline, sulla cima del Monte Barbaro.
La cinta muraria racchiude due acropoli (Nord e Sud). Accanto l’acropoli Nord sorge il Teatro. Al di fuori delle mura, si trovano il Tempio, il Santuario di Contrada Mango e i resti di una necropoli ellenistica.
L’area dista da Calatafimi solo 4 Km.

La zona archeologica di Segesta è visitabile tutto l’anno.
Nel periodo estivo l’ingresso è consentito dalle 9.00 alle 18.00
Nel periodo invernale dalle 9.00 alle 16.00
Ingresso: 6 €
Ridotto ( 18 anni – 25 anni): 2,50 €
Gratuito per i minorenni e per chi ha compiuto i 65 anni.
Biglietteria: 0924 952356

Il Tempio

Il tempio di Segesta fu innalzato sulla cima di una collina isolata tra il 430 e il 420 a.C. Fu costruito in stile dorico, ad imitazione dei grandi templi greci, anche se qualche particolare ne svela un’origine diversa. La differenza più evidente è che a Segesta manca la cella: il cuore pulsante del tempio greco.
La mancanza della cella e del tetto nel teatro di Segesta hanno fatto discutere a lungo gli studiosi. Alcuni sostengono che il tempio è semplicemente rimasto incompleto. Altri invece giustificano la particolarità di Segesta con una ragione politica e culturale: i Segestani infatti non erano Greci, come i loro nemici di Selinunte, ma Elimi. Avevano quindi una religione diversa e abitudini diverse. E’ possibile pertanto che abbiano costruito un tempio, di stile greco e con maestranze greche, per competere con i loro acerrimi nemici ma che, in realtà, fosse solo una questione di apparenze. Dell’uso che gli Elimi facevano del tempio non si ha notizia.
Il peristilio è composto da 14 colonne sul lato e 6 frontali. Non vi sono decorazioni né il tempio si può definire grandissimo, se comparato agli altri templi della Magna. E’ tuttavia ugualmente spettacolare, soprattutto perchè lo si può ancora ammirare nella sua interezza.
Il tempio occupa da solo un’intera collina ed è perfettamente visibile anche da lontano.
Per arrivarvi bisogna lasciare i propri mezzi un po’ più in basso e percorrere a piedi un breve tratto in salita.

Il teatro di Segesta

Sullo scorcio del III sec. a. C., gli abitanti di Segesta costruirono il loro teatro sulla cima più alta del monte Barbaro, in un sito, alle spalle dell’agorà, che era già sede di un luogo di culto molti secoli prima.
Orientato a nord, verso il Golfo di Castellammare, offre come scenografia lo splendido panorama delle colline a perdita d’occhio e uno scorcio di mare.
Costruito secondo i dettami dell’architettura greco – ellenistica, con blocchi di calcare locale, si discosta dalla struttura tipica dei teatri greci perché la cavea non poggia direttamente sulla roccia ma è stata appositamente costruita ed è sorretta da muri di contenimento.
Consta di due ingressi, leggermente sfalsati rispetto all’asse principale dell’edificio ed è in grado di contenere circa 4000 persone.

La cavea

La cavea è il luogo dove sedevano e siedono tutt’ora gli spettatori.
Quella del teatro di Segesta ha un diametro di 63 m ed è divisa in due da un corridoio centrale, il diazoma. Ne derivano due sezioni: una più in basso e una più in alto. La prima conta 21 file di posti divise da 6 scalette in 7 piccoli cunei di dimensioni variabili, i kerkides,.
La seconda era fornita invece di sedili con schienale. Delle gradinate della summa cavea rimangono però solo poche tracce.
Recenti ricerche hanno mostrato l’esistenza anche di un settore di gradinata più in alto, tra i due ingressi, parzialmente riutilizzato nella necropoli musulmana (prima metà del XII secolo).
Ad ovest il teatro è costeggiato da una strada lastricata che arriva fino ad una grotta naturale, in cui si trova una sorgente sacra. Usata durante l’età del bronzo, fu poi inglobata nel muro di sostegno della cavea.

L’orchestra

Di forma semicircolare, è il luogo dove si muove il coro. A Segesta ha un diametro di 18,4 m. L’ingresso è consentito attraverso due aperture, i parodoi, poste ai lati del semicerchio, ortogonalmente rispetto all’asse centrale.
Come nel teatro di Siracusa, quello di Segesta è munito di corridoi sotterranei che venivano usati per il passaggio degli attori.

La scena

Purtroppo non ne rimane molto: pochi filari di blocchi sono ciò che possiamo ancora vedere di un edificio di due piani in stile dorico e ionico. Due corpi laterali avanzati sono decorati con satiri in altorilievo.

 

Il Parco Archeologico di Selinunte è una delle aree archeologiche più estese e importanti d’Europa. Qui lo stile doricoha raggiunto una delle sue massime espressioni, pur mostrando influssi locali che ne arricchiscono la storia architettonica.


Orari di Apertura e Biglietti

🕘 Orari di ingresso:

  • Stagione estiva: dalle 9:00 alle 17:00.
  • Stagione invernale: dalle 9:00 alle 16:00.

🎟️ Biglietti:

  • Intero: €6,00
  • Ridotto (15-18 anni): €4,50
  • Ingresso gratuito per i cittadini dell’Unione Europea di età inferiore ai 18 anni o superiore ai 65 anni.

📍 Biglietteria: ☎️ 0924 46277


Le Quattro Aree del Parco Archeologico

Il Parco di Selinunte si estende su un’area molto vasta e racchiude otto templi. All’interno si possono distinguere quattro zone principali.

🏛 L’Acropoli (a sud)

È la parte più affascinante e ricca dell’intero parco, situata in una posizione strategica, con mura possenti e un versante meridionale a strapiombo sul mare.

L’Acropoli era dotata di un avanzato impianto urbanistico e di un sistema difensivo all’avanguardia. Qui si trovano cinque dei templi principali, tra cui il Tempio C, probabilmente dedicato ad Apollo. Questo tempio, tra i più antichi e maestosi, era riccamente decorato.


🌿 La Collina di Manuzza (a nord)

Questa zona, più fertile e accogliente, fu il primo insediamento dei coloni greci. Qui si sviluppò l’abitato principale di Selinunte. Tuttavia, nel IV secolo a.C., con il declino della città, gli abitanti si spostarono definitivamente sull’Acropoli.


La Collina Orientale

Qui si trovano i templi E, F e G.

  • 🏛 Tempio G: uno dei più grandi del mondo greco conosciuto. Probabilmente dedicato ad Apollo o Zeus, misurava oltre 110 metri di lunghezza e più di 50 metri di larghezza.

🍇 Il Santuario della Dea Malophoros (a ovest)

Situato sulla collina occidentale, questo santuario era dedicato alla dea Malophoros, la “portatrice di melograno”, un’antica divinità legata alla fertilità e alla Madre Terra.

🔹 Periodo di utilizzo: dal VII secolo a.C. fino agli ultimi giorni della città, quando fu consacrato alle divinità puniche.


L’Efebo Selinuntino

Da Selinunte proviene l’Efebo selinuntino, una raffinata statuetta in bronzo risalente al V secolo a.C..

📍 Dove si trova oggi?
L’Efebo è conservato presso il Museo Civico di Castelvetrano.

🏛 Museo Civico di Castelvetrano
📍 Indirizzo: Via G. Garibaldi 50, Castelvetrano
☎️ Telefono: 0924 908893

🕘 Orari di apertura:

  • Lunedì – Sabato: 9:00 – 13:00 e 15:00 – 18:00

A 11 km dalla città, c’è il luogo da cui i Selenuntini prelevavano il materiale necessario alla costruzione dei loro maestosi templi: le Cave di Cusa.
Solo lì trovavano un tufo abbastanza duro per poter essere lavorato in blocchi di grandi dimensioni.
Le cave furono usate per un arco di tempo molto lungo e probabilmente il lavoro coinvolgeva un gran numero di persone.

La grandezza dei blocchi di tufo richiedeva l’applicazione di un metodo particolare: i blocchi venivano scavati direttamente nella roccia e lavorati in loco. Solo dopo si procedeva al trasporto.
La particolarità delle Cave di Cusa è che esse furono abbandonate improvvisamente, nel 409 a.C., a causa dell’arrivo dei Cartaginesi che avrebbero distrutto Selinunte.
Così, ancora oggi, è possibile vedere le pareti delle cave intagliate dagli arnesi dei Selenuntini, alcuni blocchi di pietra lasciati in fase di lavorazione mentre altri, sparsi qua e là, erano già stati staccati dalla roccia ed erano pronti per essere portati in città. Ce ne sono alcuni anche sulla via che porta verso Selinunte.
Una visita alle Cave di Cusa permette dunque di ricostruire l’intero ciclo di estrazione della materia prima qui usato tra il Vi e il V sec. a.C.

Probabilmente Pantelleria fu frequentata fin dal Neolitico (V millennio a.C.). L’isola era ricchissima di ossidiana, uno dei primi materiali usati per la costruzione di oggetti, e questo attirava qui le popolazioni vicine.

Le prime testimonianze di una comunità stabile risalgono però solo al II millennio a.C.: si tratta del Villaggio di Mursia con l’annessa necropoli.
Il Villaggio di Mursia, sulla costa nord-occidentale dell’isola, si trova in un’area che, in parte, è naturalmente protetta dallo strapiombo sul mare. Per completare la difesa fu innalzato un possente muro. Nel villaggio rimangono i resti di capanne circolari dotate di macine e bacini per la raccolta dell’acqua.
La stessa popolazione che costruì le capanne e le fortificazioni creò anche una necropoli. Qui sono stati costruiti dei monumenti funerari chiamati Sesi.
Le strutture si avvicinano ad altre create in analoghi ambienti mediterranei. Si tratta di costruzioni circolari, piene all’interno, con delle cavità sui fianchi che venivano usate per i riti funebri.

Dal IX sec. a.C. arrivarono a Pantelleria i Fenici. A loro si devono l’Acropoli di San Marco e il Tempio del Lago di Venere.
L’Acropoli di San Marco è stata recentemente sottoposta a campagne di scavo. Potrete vedere tracce di fortificazioni, grandi cisterne per l’acqua e numerosi elementi architettonici: qui sorgeva l’antica Cossyra. Il sistema delle cisterne è particolarmente interessate: fu questo a permettere agli abitanti dell’isola di raccogliere l’acqua piovana risolvendo così i problemi legati alla siccità. In zona sono state anche tre ritratti di epoca romana perfettamente conservati. I primi due, rinvenuti all’interno di una stessa cisterna, raffigurano Giulio Cesare e una figura femminile di nobile rango. Il terzo, ritrovato in una cisterna diversa, è un ritratto dell’imperatore Tito.

Sulle sponde orientali del Lago di Venere si trovano i resti di un Tempio di epoca punica. La struttura, comprensiva di portico, è addossata alla parete rocciosa. Probabilmente si trattava di più edifici che si affacciavano direttamente sul lago. Sono visibili anche le fondamenta di successivi rifacimenti di età ellenistico – romana. Nell’area è stato rinvenuto molto materiale ceramico: questo fa pensare all’uso del tempio per un arco temporale piuttosto lungo.

Sul lato orientale della baia di Scauri sono stati ritrovati moltissimi frammenti ceramici risalenti ad epoche diverse, tracce di magazzini e una fornace. E’ stata individuata anche la presenza di una villa risalente al IV – V sec. d.C: una struttura con fini abitativi a cui sono annesse delle grandi cisterne. A queste appartengono anche alcuni elementi architettonici di pregio e frammenti di mosaico.

Cala Gadir: Nell’antichità Gadir fu uno scalo molto frequentato. Questo spiega perchè i suoi fondali sono una ricchissima miniera di reperti. Da lì proviene una copiosa collezione di anfore di periodo punico. Nella stessa area sono stati individuati i frammenti di due relitti risalenti rispettivamente alla fine del III – inizio II sec. a.C. e alla fine II – inizio I sec. a.C.

E’ stato creato un itinerario archeologico subacqueo che permette ai sub di ammirare gli antichi reperti direttamente in loco, tra i 18 e i 30 m. di profondità.

Porto di Scauri: il Porto di Scauri, nella parte sud-occidentale dell’isola, è una baia ben protetta dai venti. Qui sono stati ritrovati i resti di un relitto, affondato intorno alla fine del V sec d.C. Un’ampia area tra i 6 e i 10 m. di profondità, è ricca di ceramica, sia integra che in frammenti, e di oggetti di uso quotidiano di vario tipo.

Arenella: Nel tratto di mare antistante la località Arenella sono presenti molti reperti ceramici e anfore cilindriche di età tardo-imperiale.

Mothia fu un’ importante scalo commerciale punico. I resti della sua civiltà e della sua florida attività economica sono stati riportati alla luce da una lunga serie di scavi archeologici, soprattutto grazie all’opera di Giuseppe Whitaker che aveva precedentemente acquistato l’isola.
Il Museo Whitaker – Nella sua casa oggi ha sede il museo che raccoglie i reperti portati alla luce durante le diverse campagne di scavo.
Un plastico vi mostrerà innanzitutto l’intera isola di Mothia, in modo da individuare più facilmente i siti di maggiore rilievo storico.
Il museo conserva una gran quantità di reperti di epoca preistorica, materiali rinvenuti nell’abitato, arredi funerari provenienti dal Thofet e dalla necropoli arcaica, ceramiche, monete, sculture, gioielli e steli votive.
Grande vanto dell’isola, è il famoso Giovinetto di Mothia.
La statua in marmo bianco dell’Anatolia, alta 1,81 m, manca degli arti. Molti sono ancora i dubbi riguardo l’origine e il soggetto rappresentato. La tunica e la complessa acconciatura fanno comunque pensare ad un soggetto di alto rango. L’autore, se non greco, fu comunque influenzato dallo “stile severo” greco e possedeva un senso plastico non comune. Le proporzioni sono armoniose ed eleganti. Molto bella la tunica pieghettata e ben disegnata sul corpo. Probabilmente risale al V sec. a.C.
L’isola è facilmente percorribile a piedi.
La folta vegetazione dell’interno rende piacevole la visita.
Passeggiando incontrerete:

La Casa dei Mosaici: due mosaici del IV sec. a.C. formati da ciottoli bianchi e neri che raffigurano scene di lotta tra animali.

Il Cothon: piccolo bacino di carenaggio dalla forma rettangolare

Resti di fortificazioni: nonostante la sua posizione geografica fosse già una protezione naturale, a partire dalla metà del IV sec. e tramite interventi successivi, la città venne cinta di mura. Se ne vedono alcuni resti a Nord e a Sud. Sono visibili anche alcune delle torri collocate lungo il perimetro.

Il santuario di Cappidazzu: l’area comprende costruzioni di varie epoche di cui è ancora sconosciuto l’utilizzo. La presenza di alcuni altari fa pensare comunque ad un luogo sacro destinato alle offerte per le divinità.

Il Thofet: area sacra dov’erano sacrificati agli dei i primogeniti maschi. Qui sono state ritrovate numerose stele votive.

Arrivare a Mothia
Dall’imbarcadero situato nei pressi delle Saline di Marsala, parte l’apposito servizio di collegamento tra l’isola e la terraferma.

La possente cinta di impianto elimo (VIII-VI sec. a.C.) circondava un tempo il lato nord-est della città, l’unico esposto ad eventuali attacchi. Ai grandi blocchi, più antichi, che caratterizzano la parte inferiore, venne poi aggiunto, in epoche successive, un innalzamento a conci più piccoli. Le mura erano dotate di torri di avvistamento, di un camminamento cui si accedeva attraverso ripide scalette e di piccole aperture che permettevano il passaggio degli abitanti e forse dei rifornimenti. Il tratto meglio conservato si sviluppa lungo via dell’ Addolorata, da Porta Carmine a Porta Spada.

La Grotta del Genovese a Levanzo custodisce un tesoro dall’inestimabile valore storico ed artistico. Dentro la grotta, un anfratto nascosto, ampio più di 8 metri, ha le pareti ricoperte da graffiti e pitture rupestri.
Nella parte più bassa si trovano i graffiti. Questi risalgono alla fase finale del Paleolitico Superiore e rappresentano prevalentemente animali, soprattutto equini, bovini e cervidi. Poche le figure umane. I soggetti sono rappresentati di profilo, con un solo tratto, in uno stile fortemente naturalistico.
Nella parte superiore della parete si trovano invece le pitture che risalgono alla fase finale del Neolitico. Rappresentano corpi filiformi e stilizzati di colore nero. Tra queste vi sono anche un tonno e un delfino: le prime rappresentazioni di pesci che si conoscano in Europa.
Nella stessa grotta è stato trovato del vasellame e coltelli di selce.

E’ possibile visitare la Grotta del Genovese durante tutto l’anno. Si trova a circa 5 Km dall’abitato. L’apertura dà su un piccolo balconcino affacciato sul mare.
E’ possibile visitare la grotta contattando la guida e prenotando anticipatamente la visita: in questo modo potrete raggiungere la grotta con il fuoristrada, insieme alla guida.
Durante il periodo estivo può essere raggiunta in barca, abbinando la visita al giro dell’isola.

Per le visite guidate: 0923 924032

Museo Archeologico Baglio Anselmi

Uno stabilimento vinicolo del secolo scorso è oggi sede del museo che custodisce i reperti archeologici rinvenuti durante le varie campagne di scavo tra Marsala e Mothia.
Si tratta di una cospicua raccolta di ceramiche, anfore, arredi funerari, steli votive, suppellettili e gioielli, elementi architettonici ed oggetti di vario tipo.
Qui è anche conservato un bel mosaico proveniente dall’insula romana.

Il museo vanta inoltre la presenza della Venere Callipigia e della Nave punica.
La Venere Callipigia, ritrovata recentemente, nonostante manchi degli arti e della testa, attrae immediatamente l’attenzione del visitatore sulle sue forme morbide ed eleganti e sul drappeggio, che invece di coprirla, ne esalta la nudità.

Nave Punica di Marsala

La Nave Punica è un’importante testimonianza delle antiche guerre che Romani e Cartaginesi combatterono in queste acque. Probabilmente il relitto affondò durante la battaglia delle Egadi che, nel 241 a.C, pose fine alla Prima Guerra Punica. La nave è stata ricostruita all’interno del museo: sono ben visibili la fiancata di babordo e la parte di poppa. Insieme alla nave, è stato recuperato anche parte del carico.

Lungomare Boeo – Marsala
Tel: 0923 953614

Insula Romana a Marsala

L’insula romana di Capo Lylibeo copre un’area piuttosto ampia, anticamente delimitata da due strade lastricate. Si tratta di una lussuosa abitazione con annesso impianto termale. Sono ben visibili il frigidarium ( impianto con acqua fredda) e il caldarium (sezione con l’acqua calda).
Di rilievo anche la pavimentazione a mosaico.
L’insula si trova nelle vicinanze dell’antico decumano maximo, la via principale di epoca romana, che partiva dal promontorio di Capo Boeo e percorreva quella che oggi è la Via XI Maggio.

Marsala è luogo di continui ritrovamenti archeologici. Troverete delle aree di scavo un po’ dovunque. Tra queste, quella dell’ex monastero di San Gerolamo, che fiancheggia l’Oratorium Santa Cecilia, e il fossato del IV sec. alla fine di Via Amendola.

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